Non ricordo di essere mai stata costretta dalla mia famiglia a frequentare la chiesa, andare a messa o dottrina,  a seguire la religione. A dire il vero, nessuno dei miei familiari – genitori e nonni compresi – si è mai preoccupato troppo di questo argomento.

Avevo circa dieci anni quando un giorno mio padre tirò una bella bestemmia.  Non che fosse la prima volta ma quella volta era presente  una delle sue sorella che gli disse di stare attento a non farlo davanti a noi bambine. Lui, con la sua consueta nonchalance, rispose: “Tanto Dio non esiste, che importanza ha se bestemmio?”.  Zia Giuliana, con un’aria che non dimenticherò mai, gli fece due occhiacci e disse: “Non puoi dire queste cose davanti alle tue figlie!”. Ma lui insistette: “No, io voglio proprio dirle, devono sapere come la penso e ripeto: Dio non esiste”.

Il giorno dopo, tutta emozionata e turbata, mi fiondai da Patrizia, la mia amica del cuore e le dissi che avevo fatto una grande scoperta: Dio non esiste! Se l’aveva detto mio padre, un adulto e per di più genitore, doveva essere vero. Insomma, pensai che fosse una cosa tipo quella di Babbo Natale o Santa Lucia, a cui già non credevamo più.

L’affermazione di mio padre creò in me una crepa, una specie di dissonanza. Da una parte credevo a mio padre e dall’altra continuavo ad essere affascinata dal mondo religioso.

Intanto i miei genitori, mi mandavano volentieri a catechismo, forse più per comodità di farmi andare all’oratorio considerato un posto sicuro, che per convinzione.  E lì conobbi suor Giovanna, una suora giovane, senza baffi (già questo era una novità), che guidava una 500 bianca.  Mi incantava ascoltare la storia della sua vita prima di prendere quella decisione, di quando fino a poco prima  aveva il fidanzato, le minigonne e la passione per il rock. Ma poi, un giorno, sentì la “chiamata” abbandonò tutto per andare in convento e rimase ferma sulla propria decisione nonostante genitori e fidanzato fossero molto dispiaciuti e con la speranza si ravvedesse.  Io, un po’ speravo e un po’ temevo che mi succedesse la stessa cosa. Mi chiedevo, se avessi sentito quella della chiamata avrei avuto il coraggio di seguirla come aveva fatto lei?  E poi la chiamata in cosa consisteva esattamente? era un’attrazione che arrivava e poi spariva  e dovevi valutare con i pro e contro oppure era la voce forte e chiara di Dio a cui non potevi far altro che ubbidire?

Comunque la chiamata non arrivò.

Arrivò invece l’adolescenza, con le sue tentazioni, le prime sigarette fumate di nascosto, le cotte non corrisposte, le montagne russe degli sbalzi d’umore su cui non riuscivo a stare in equilibrio,  l’argomento della religione era l’ultimo dei miei pensieri anche se  tra le medie e la ragioneria cambiai diversi insegnanti di religione, parroci e preti e devo dire che, fortunamente, erano persone molto aperte, colte e intelligenti che ascoltavo molto volentieri.

Con Don Guido mi incuriosì l’argomento degli alberi genealogici di cui lui era esperto e con  Don Ennio scoprii che non si doveva parlare solo di Gesù ma ogni lezione era aperta agli argomenti più disparati. E proprio lui un giorno disse a mia madre, durante i colloqui, che oltre a darmi un voto alto nella sua materia,  mi vedeva bene in un convento, pensava che potessi essere adatta.

Non la presi molto bene questa cosa, io che in quel momento pensavo più a sbattagliare per convincere i miei a darmi il permesso per andare in discoteca e in vacanza con le amiche…altro che messe e conventi!.

Tuttavia, il fascino per quel mondo misterioso mi rimase dentro per anni.

Crescendo, diventai una giovane adulta e dimenticai quel contatto con la fede, fino al punto di vivere un periodo molto critico mi sentivo anestetizzata e soffrivo di attacchi di panico quotidianamente nonostante la mia vita apparisse all’esterno più che perfetta. E proprio in quel periodo,  un giorno Don Floriano, monsignore nuovo del mio paese,  bussò alla mia porta per benedire la casa.  Quando mi chiese se ricevevo volentieri la benedizione, dissi che in realtà la subivo e che non mi interessava nulla di religione, preti o chiesa.  Non credevo a nulla ed ero molto delusa. Mi rispose che probabilmente avevo una fede immatura, “bambina”, disse. Questo mi colpì molto e ci rimasi male.

Prima di andarsene, senza benedire la casa,  mi lanciò una sfida: “Vieni domenica a messa, vediamo se abbiamo ancora qualcosa da dirti”.  Accettai la sfida, e la sua predica mi sembrò diversa da quelle sentite fino a quel momento. Rinacque in me un contatto con la fede, e per un periodo andai a messa ogni domenica.

Ma anche se stimavo Don Floriano i suoi sermoni, sentivo che c’era qualcosa di più grande al di fuori di quelle mura, qualcosa che dovevo scoprire da sola.

E con il tempo, la mia fede divenne qualcosa che andava oltre la religione e i dogmi. Non sentivo più il bisogno di giustificare o spiegare se credevo in un dio. Era qualcosa di molto più grande, qualcosa che superava la mente e toccava corde più profonde.

Un viaggio di conoscenza di me stessa attraverso diverse discipline, letture di libri e conoscenza di maestri e terapeuti ed esperienze extra ordinarie.

Per me, la spiritualità è come un filo invisibile che attraversa ogni cosa, un legame sottile che collega l’ordinario con l’infinito. Il sacro è ovunque, se si è disposti a coglierlo: in un gesto gentile, in un paesaggio che toglie il fiato, in un momento di silenzio che sembra fermare il tempo. Senza questo mistero, senza la continua connessione con una dimensione più profonda, la vita perderebbe colore e sostanza.

È la ricerca interiore che dà significato al mio cammino, che mi tiene ancorata a qualcosa di più grande. Senza questo, credo che la vita stessa si svuoterebbe, proprio come è successo, nel tempo, alla religione e alla chiesa.